CAMPAGNA "GIOCHI LEALI"


CRONACA DI UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA

Alle due del pomeriggio del 19 novembre 1993 in una fabbrica di giocattoli di Kuiyong, una cittadina cinese a ridosso di Hong Kong, c’era l’inferno. Poco prima, al piano terra era divampato un incendio e le fiamme stavano già arrivando al 2° piano, dove stavano lavorando 200 ragazze fra i 15 e i 20 anni. Gli incendi sono frequenti nelle fabbriche cinesi e appena comparve il fumo le ragazze si precipitarono giù dalle scale. Ma quando arrivarono al piano terra trovarono il cancello dell’uscita chiuso a chiave. Le ragazze allora tornarono ai piani di sopra cercando una via d’uscita dalle finestre, ma anche queste erano bloccate dalle inferriate. L’ossessione dei padroni cinesi per i furti le stava mettendo in una trappola mortale. In preda al terrore molte tornarono di nuovo al piano terra, nella speranza che il cancello fosse stato finalmente aperto, ma furono avvolte dalle fiamme. Altre, intanto, con l’aiuto di una leva, erano riuscite ad aprire un varco tra le sbarre, e trovarono salvezza gettandosi dal secondo piano. Il bilancio finale fu di 87 ragazze carbonizzate e circa quaranta ferite, dieci delle quali gravemente ustionate, tanto da rimanere invalide per il resto della vita. La fabbrica distrutta dalle fiamme si chiamava Zhili ed era di proprietà di una società di Hong Kong (la Tri-Co Industrial Ltd.) che produceva giocattoli per la Chicco.

ANCORA IN ATTESA DI UN EQUO INDENNIZZO

All’indomani dell’incendio alla Zhili, il tribunale di Kuiyong ha aperto un’inchiesta. Ha giudicato l’impresa responsabile della tragedia e ha condannato il proprietario, Lo Chiu-Chuen, cittadino di Hong Kong, a due anni di reclusione anche per aver pagato una tangente al comandante dei vigili del fuoco affinché falsificasse gli esiti dell’ispezione. Ma la detenzione di Lo Chiu-Chuen è durata molto meno: dopo 11 mesi è uscito di galera adducendo motivi di salute.

Secondo la legge cinese le vittime, o le loro famiglie, avrebbero dovuto ricevere dall’impresa una somma "una tantum" di circa 3 milioni di lire e un assegno mensile vitalizio pari all’80% del salario minimo. In realtà non hanno ricevuto proprio niente perchè non erano state assicurate contro gli infortuni, mentre la Zhili era corsa subito al riparo dichiarandosi fallita. Vista la situazione, è intervenuto il governo cinese che ha elargito alla famiglia di ogni morto circa 5 milioni di lire dichiarando chiusa la partita. Ai superstiti gravemente ustionati, invece, non è stato dato niente. Senza nessun tipo di indennizzo non hanno potuto sottoporsi ad interventi di chirurgia plastica, né hanno potuto fare terapia riabilitativa ed oggi vivono in uno stato semivegetativo nei loro villaggi nativi.

LA CHICCO DEVE ASSUMERSI LE PROPRIE RESPONSABILITA’

Quando succedono simili tragedie, chi rimane nell’ombra è sempre la ditta appaltante che fra tutti è quella che si arricchisce di più alle spalle dei lavoratori e dell’ambiente del Sud del mondo. Per questo, subito dopo l’incendio, alcuni gruppi di Hong Kong svolsero varie manifestazioni per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle responsabilità della Chicco che al pari della Zhili aveva l’obbligo di garantire un risarcimento alle vittime. La CISL italiana raccolse l’appello e pose la questione alla direzione dell’Artsana che in via di principio si dichiarò disponibile a partecipare al risarcimento. Tuttavia Chicco non ha mai sborsato una lira per motivi che non sono ben chiari. Proprio per questo sono stati ripresi i contatti con i gruppi di Hong Kong e assieme a loro è stato deciso di riaprire il caso con la direzione dell’Artsana affinché faccia avere alle vittime della Zhili, e in particolar modo ai superstiti gravemente ustionati, quanto non hanno ancora ricevuto.


ULTIM’ORA: SOSPESA LA CAMPAGNA DI PRESSIONE SULLA CHICCO

Era nostra intenzione allegare a questo numero speciale di BOYCOTT! le cartoline della Campagna Giochi Leali; l’ultimissima mossa della Chicco/Artsana però ci ha colto di sorpresa ed è con piacere che pubblichiamo il comunicato del Centro Nuovo Modello di Sviluppo che ne dà notizia.

Vecchiano, 30 ottobre 1997

Cinque mesi di pressione popolare, per un totale di 4000 cartoline, sono stati sufficienti per indurre Chicco/Artsana a prendere dei provvedimenti rispetto alla morte delle 87 ragazze che rimasero imprigionate nell’incendio avvenuto in Cina; nel 1993, nella fabbrica Zhili, che produceva giocattoli di pezza con il marchio Chicco.

Gli impegni sono stati formalizzati a Roma, il 28 ottobre, e sono contenuti in un accordo siglato con le organizzazioni sindacali. A darne notizia è stato l’amministratore delegato dell’Artsana, Michele Catelli, durante un dibattito che si è tenuto a Milano il 28 ottobre stesso sul tema "Globalizzazione, economia e solidarietà". Artsana, che per tutti questi mesi si era chiusa in uno stretto mutismo, ha scelto un momento solenne per dare il suo annuncio perché lo ha fatto alla presenza di un migliaio di persone e varie forze economiche e sociali. Al dibattito, infatti, partecipavano imprese (Nike, Timberland, Artsana, Nestlé), sindacato (ufficio internazionale CISL) e il mondo delle associazioni (Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Commercio Equo e Solidale e FOCSIV). L’accordo accoglie tutte le richieste fatte dalla Campagna Giochi Leali perché impegna l’Artsana a:

  1. Stanziare 300 milioni di lire per il risarcimento delle operaie rimaste uccise e gravemente ustionate;
  • adottare un codice di condotta che la impegna ad appaltare la produzione in Asia solo alle imprese che rispettano i fondamentali diritti dei lavoratori previsti dalle convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
  • Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo, che ha promosso la campagna in collaborazione con Mani Tese, AIFO, Emmaus, ISCOS Piemonte e Coordinamento Lombardo Nord/Sud, esprime viva soddisfazione per l’esito dell’iniziativa. Tuttavia non abbasserà il livello di guardia perché ora è necessario verificare che l’accordo venga rispettato.

    L’accordo riveste grande importanza non solo perché tenta di soddisfare un diritto delle famiglie delle vittime, ma anche perché crea un precedente in cui l’impresa appaltante di fatto risponde in solido con quella appaltata. Ciò costituisce una grande novità perché, fino ad ora, le imprese appaltanti hanno sempre affermato di non avere responsabilità rispetto alle condizioni di lavoro dal momento che si limitano ad un rapporto commerciale con l’impresa appaltata. Come quest’ultima tratta i lavoratori, poi, non è affare suo. Noi pensiamo, invece, che entrambe hanno gli stessi obblighi nei confronti dei lavoratori su cui costruiscono le loro ricchezze.

    La riuscita di questa campagna rafforza il Centro Nuovo Modello di Sviluppo nella convinzione che la pressione popolare è uno strumento di condizionamento che funziona e che ha delle potenzialità enormi. Non a caso è riuscita a far aprire un caso che, ormai, era definitivamente archiviato sia per l’azienda che per il sindacato.

    CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO

     

     

    Il sommario di Boycott! n.29