_____BANCA MONDIALE: GRANDI DIGHE, GRANDI DISASTRI

Si è tenuta in marzo nella città brasiliana di Curitiba la Prima Conferenza Internazionale delle popolazioni colpite dalla costruzione di grandi dighe. Rappresentanti di 20 paesi hanno chiesto che si ponga rimedio ai danni che hanno causato e che ci si opponga alla loro costruzione.

I megaprogetti di costruzione sono finanziati dalla Banca Mondiale e spesso sono supportati dai governi nazionali e dagli organismi internazionali, che vi vedono un contributo importante alla crescita economica. In realtà, le grandi dighe sono un vero e proprio simbolo di uno sviluppo non sostenibile. Ammonta a 60 milioni il numero di persone che ha subito nel corso degli ultimi 50 anni le conseguenze della costruzione di queste grandi strutture. Tanta gente ha subito danni economici poiché la presenza di dighe ha provocato un forte calo della produzione agricola e di tutti i settori collegati all'attività della pesca. Milioni di persone continuano a soffrire di malattie tipicamente diffuse sulle rive di fiumi o ruscelli, come la malaria e la schistosomiasi; decine di migliaia sono morte per il crollo di alcune dighe. La loro presenza provoca inoltre l'inevitabile migrazione coatta delle popolazioni indigene, poiché l'area in cui sorgono viene a mancare dei minimi requisiti ecologici necessari alla sopravvivenza. Si tratta in genere di un distacco traumatico dalle proprie origini e dalle proprie tradizioni da parte di intere comunità.

Le compagnie che le costruiscono sono oggi un fortissimo gruppo di potere e l'industria delle grandi dighe realizza profitti dell'ordine di 20 miliardi l'anno, molti dei quali derivanti da lavori svolti nei paesi del sud del mondo. Come afferma il portavoce dell'associazione "International Rivers Network", sorta negli Stati Uniti proprio per condurre questo genere di battaglia ambientale e sensibilizzare l'opinione pubblica su questi temi, le dighe hanno un costo troppo elevato se confrontato con le loro effettive prestazioni, spesso sono costruite in segreto e in un clima di diffusa intimidazione.

Cominciata negli Stati Uniti, la pratica di erigere dighe di tali dimensioni si è ora diffusa in tutto il mondo. Per avere un'idea delle cifre con cui si ha a che fare, si pensi che si sta costruendo in Cina una diga dal costo di 30 miliardi di dollari, che determinerà l'allontanamento di 1,3 milioni di persone dal loro territorio e richiederà un'investimento energetico di 200 megawatt.

In Malesia si è avviato lo scorso febbraio il progetto della più grande diga del sud est asiatico, che costerà 5,4 miliardi di dollari e provocherà l'abbattimento di alcune migliaia di ettari di foreste e delle abitazioni di 10 mila persone. Tra i luoghi in cui si stanno combattendo lotte contro la costruzione di nuove dighe, meritano particolare attenzione l'India e il Cile.

In India , dove già esistono 23 grandi dighe, la Corte Suprema ha bloccato i lavori di una diga lungo il corso del fiume Narmada, con una sentenza che ha determinato da una parte l'ira delle lobby sostenitrici della costruzione della diga, trasversali a tutto lo schieramento parlamentare, dall'altra la soddisfazione del movimento ambientalista "Narmada Bachao Andolan" ("Save the Narmada Movement" è il nome con il quale è noto a livello internazionale). I sostenitori del progetto si giustificano affermando che la costruzione rientra in un progetto globale che dovrebbe portare acqua potabile in regioni indiane che soffrono di frequenti siccità. I militanti del "Narmada Bachao Andolan" ritengono invece che alla resa dei conti del progetto si avvantaggeranno soltanto le maggiori industrie ed i grandi proprietari terrieri che avranno acqua per irrigare i loro campi. Oltre a quelli presso le rive del Narmada, anche i lavori per la costruzione di altre dighe sono stati provvisoriamente interrotti; si è ora in attesa di una decisione definitiva da parte della Banca Mondiale, con i gruppi ambientalisti e le ONG pronti a giocare tutte le carte a loro disposizione.

La situazione che vive il Cile è analoga. Pur esistendo una legge che sancisce il diritto degli indigeni a restare nella propria terra e che proibisce la loro migrazione forzata, il governo del presidente Frei è fermamente deciso a proseguire la costruzione di sei grandi dighe lungo il corso del fiume Biobio. Questo progetto rischia di allontanare dai loro luoghi d'origine 10 mila indigeni che rappresentano ciò che resta della popolazione dei Pehuence, la cui denominazione, a testimonianza del forte legame esistente tra questa gente e la propria terra, discende dal pehuen, il nome cileno dell'araucaria, la specie arborea maggiormente diffusa nella valle del Biobio. In seguito all'innalzamento delle dighe, non solo i Pehuence, ma tutti coloro che abitano sulle sponde del fiume, non potrebbero più attingere l'acqua necessaria al loro fabbisogno.

L'impresa delle 6 megadighe, finanziata dalla "International Finance Corporation", una sorta di "braccio privato" della Banca Mondiale, ha avuto inizio nel 1992 e la costruzione della prima di esse ha già comportato la spesa di 465 milioni di dollari. Le lotte ambientaliste che hanno luogo in Cile contro la prosecuzione dei lavori hanno già riscontrato un primo parziale successo. Sotto le pressioni del "Grupo de Accion por el Biobio" (GABB), la Banca Mondiale ha acconsentito per la prima volta a svolgere un'indagine per accertare i possibili squilibri che potrebbero scaturire dalla costruzione di altre dighe. Il CONADI, l'associazione che a livello mondiale rappresenta i diritti degli indigeni, ha scritto una lettera al presidente cileno chiedendogli di interrompere i lavori, mentre l'Università "La Frontera" di Temuco, che era inizialmente coinvolta nel progetto governativo, ha interrotto la propria collaborazione non volendo essere complice di un disastro ecologico, sociale e culturale. La situazione in Cile è dunque ferma a questo punto, si spera che nel prossimo futuro possa evolvere per il meglio.

Più in generale, si auspica che l'effetto di queste lotte ambientali e della Conferenza di Curitiba sia la cessazione totale di questi megaprogetti e l'avvio di una riflessione sui modi per porre rimedio ai danni già causati. Sinora nulla è stato fatto per cercare di ricompensare in qualche modo le popolazioni che hanno sofferto per malattie o per la separazione dalla loro terra e dalle loro usanze. Ciò è ancora una volta espressione di un modello di sviluppo che non lascia spazio ai legami affettivi, alla storia ed alla cultura dei popoli, un modello di sviluppo che pretende soltanto che tutti ad esso si inchinino.

GENNARO CORCELLA

Fonti: IPS-Inter Press Service; Resurgence Online; Gemini News



FONTE: GUERRE & PACE - LUGLIO 1997


Per chi volesse ricevere maggiori informazioni sulle "malefatte" della Banca Mondiale:

LILIANA CORI

Campagna per la Riforma della Banca Mondiale

Via Ferraironi 88/G

00172 Roma

tel.06-24404212 fax 06-2424177




*____________BANCA MONDIALE

His Excellency

James Wolfensohn

President

THE WORLD BANK

1717 H Street

NW - Washington - U.S.A.

Fax 001-202-5223031

Dear Mr. J. Wolfensohn,

we are writing about the World Bank's policy towards the building of big dams. The recent First International Conference of peoples struck by big dams, happened in Curitiba, Brazil, has pointed out all its negative aspects. These buildings are extremely expensive; they destroy the original ecosystem with bad consequences on environment, agriculture and fishing; they force thousand of families to leave their homes and their land and seriously threaten the survival of many indigenous peoples. We ask that the World Bank, as a financier of these projects, to make up for damages caused by these operations, not to give its authorization for future projects and to stop those in course; particularly the dam along the Narmada River in India and the one along the River Biobio in Chile. We ask You to practise a policy putting in the first place the respect of peoples, not the interests of companies participating to these unuseful projects. Waiting for an answer, we remain

Yours Faithfully








__________TRADUZIONE

Egregio Sig. Wolfensohn, Le scriviamo riguardo la politica perseguita dalla Banca Mondiale verso la costruzione di grandi dighe. La recente Prima Conferenza Internazionale delle popolazioni colpite dalla costruzione di grandi dighe, tenutasi a Curitiba, Brasile, ne ha evidenziato tutti gli aspetti negativi. Queste costruzioni sono costosissime; distruggono l'ecosistema originario con gravi ripercussioni sull'ambiente, sulle attività agricole e di pesca; costringono migliaia di famiglie a lasciare la propria casa e la propria terra, minacciano seriamente la sopravvivenza di alcune tribù indigene. Chiediamo dunque che la Banca Mondiale, in quanto finanziatrice di tali progetti, ponga rimedio ai danni causati da queste operazioni, non dia il benestare per i progetti in previsione e blocchi quelli in fase di costruzione; in particolare in India la diga lungo il corso del fiume Narmada ed in Cile quella lungo il corso del fiume Biobio. Le chiediamo quindi di attuare un politica che metta al primo posto il rispetto della persona e non l'interesse delle imprese che partecipano a questi inutili progetti. In attesa di una Vostra risposta in merito, porgiamo distinti saluti.


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