Giacomo Verde : Vorrei ringraziare Antonio e Felice di avermi messo
da ultimo, così farò pochi danni. Francamente parlo fra amici,
quindi dirò più o meno cose che già sapete, le ridico
così vengono registrate.
Devo dire una prima cosa: arrivando qua al convegno, mi ero illuso
che ci fossero delle speranze - posso partire in maniera cattiva? - delle
speranze sulla possibilità di fare qualcosa per i bambini all’interno
di una struttura come la RAI. Alla fine di questo convegno invece ho delle
speranze molto affievolite, vedo molto difficile riuscire a fare
qualcosa. Il sottotitolo del mio intervento è “La Televisione è
di/per chi la fa”, e questi due giorni di seminario mi hanno convinto più
che mai che veramente la televisione è di/per chi la fa: la televisione
la fanno gli adulti, non c’è ombra di dubbio, perché
il fare televisione investe economie, poteri e competenze politiche controllate
dagli adulti, quindi ai bambini non resta che subirne semplicemente
le conseguenze, sulle quali non possono influire perché non votano.
Molto semplice.
Il
giorno in cui i bambini voteranno forse si organizzerà qualcosa di veramente
serio per ascoltare quali sono le loro esigenze.
A questo punto, per quello che ho sentito finora, mi sembra che di attenzione
nell’ascoltare ciò che i bambini hanno da dire, per farci capire
cosa vivono sulla propria pelle, non cene sia molta.
C’è un’altra questione importante: io, nel corso della mia attività
di videoartista indipendente e outsider, mi sono accorto di due cose:
La prima è che la televisione non esiste.
Questa è una frase che uso spesso, e sono costretto a dire che
la televisione non esiste, perché purtroppo si dà troppa
importanza nella nostra società, nella nostra cultura, alla televisione
e alle immagini televisive. Si dà un tipo di importanza che è
pericolosissima, ovvero si tende a confondere l’immagine della cosa con
la cosa, si pensa semplicemente che trasmettere, far vedere, rappresentare
una cosa sia far vedere quella cosa, mentre invece non è così.
Non so se ricordate il famoso dipinto di Magritte “Questa non è
una pipa”, dove si vedeva chiaramente che il disegno di una pipa non è
la pipa ma è il disegno della pipa. Saper riconoscere la differenza
tra l’immagine e la cosa è una cosa fondamentale di questi tempi
(scusate il bisticcio sulla parola cosa). Purtroppo invece su questo fraintendimento
si basa tutto il sistema della comunicazione, sul fatto che la cosa viene
confusa con l’immagine della cosa, e ci si gioca su questa confusione fino
a costruire imperi di potere, imperi economici non indifferenti. E’ molto
difficile per me riuscire a fare qualche discorso se non si comincia a
mettere in discussione questo primo fatto.
La
cosa paradossale è che, per esempio, i bambini sanno molto bene che la
cosa non è l’immagine della cosa. I bambini sono un problema per gli
adulti. É un po', perdonatemi la battuta, come la marijuana. La marijuana
è un problema per chi non la fuma (ne ha il terrore) chi la fuma sa benissimo
che non è un problema. E i bambini sono lo stesso problema, è
lo stesso punto, sono un problema per gli adulti perché mettono continuamente
in crisi la visione del mondo organizzato dagli adulti. Rispetto anche al rapporto
tra immagine e realtà, i bambini lo conoscono abbastanza bene, hanno
veramente gli strumenti di partenza per rendersi conto che la televisione non
è la realtà, e sanno giocarci sullo scarto tra televisione e realtà.
Faccio un esempio. Io tra le varie attività animo, in tempo reale, un
personaggio virtuale con un Cyberglove. Cosa succede? Il personaggio appare
in video e parla con le persone che stanno di fronte allo schermo, gli adulti
pensano inizialmente di parlare con un computer, poi man mano che il discorso
va avanti si accorgono che non è un computer che parla ma una persona
che usa l’immagine del computer per parlare con loro. Gli adulti quando si accorgono
di questo si “smarronano”, dicono “Ah, che schifo! Pensavo di parlare con un
computer invece parlo con una persona”. Per i bambini invece, quando si accorgono
di questo, non è una delusione (anche se c’è un attimo di delusione
comunque non è annichilente) imparano subito come rapportarsi a questa
situazione, pensano “Benissimo, c’è una persona dietro, ok! è
un’occasione in più”. Cominciano a parlare con il personaggio e se sentono
qualcosa che non gli piace vengono dove sono io, perché mi metto sempre
in una posizione raggiungibilissima dallo spettatore, e mi dicono “Oh, la vogliamo
smettere. Questo personaggio mi deve rispondere così, così e cosà.
Lo facciamo?”. Tornano davanti e ricominciano a giocare, a giocare molto seriamente,
con la coscienza dello scarto tra l’immagine e la “realtà che ci sta
dietro”. Ecco questo è un aspetto del problema: non riuscire, come adulti,
a capire la possibilità e la valenza del giocare lo scarto tra immagine
e realtà, prendiamo tutto molto seriamente, dimenticandoci delle possibilità
offerte dal giocare.
Un’altra cosa, è il “discorso” che fa confondere le immagini
con l’esperienza; quando dico che la Tv non esiste lo dico per rompere
uno stereotipo percettivo che ci ha abituati a credere che la televisione
debba rappresentare la realtà, mentre invece “non esiste”, perché
le immagini di per se non sono mai la realtà, ma sono appunto la
rappresentazione della realtà e soprattutto sono “funzioni psichiche”
che vengono attivate attraverso la visione e la percezione delle immagini.
Per esempio c’è questo terrore delle immagini violente nei confronti
dei bambini, si dice che la Tv non deve essere violenta; questo è
un bluff terribile, è una cosa stupida, il problema della violenza
non è nella televisione, il problema della violenza è fuori.
I bambini anzi, molti bambini, i più svegli, i più attenti,
ai quali è stata data la possibilità di verificare lo scarto
tra immagine e realtà, amano moltissimo i film di violenza, i film
di orrore, dove si vedono squartamenti, “splatter” e così via. Perché
per riuscire a vedere quelle immagini, a godere di quelle immagini, bisogna
avere una alta competenza linguistica. Agli adulti abituati a confondere
realtà e immagine fa schifo vedere film dell’orrore. Vedere uno
squartamento in televisione è una bellissima possibilità,
perché io posso provare questo tipo di emozione (attivare questa
funzione psichica) senza farmi niente, è un’emozione bellissima,
perché “sperimento” qualche cosa di pericoloso senza farmi niente.
Per esempio io ho fatto un video con dei ragazzini delle medie, e ad
un certo punto lavorando a questo progetto è venuto fuori che volevano
girare un video dove loro si trasformavano in zombie e assaltavano la scuola,
la saccheggiavano, processavano per finta gli insegnanti, li torturavano,
dopo di che li uccidevano e poi distruggevano la scuola e tutto quanto.
Immaginate cose terribili, c’erano delle insegnanti che erano terrorizzate,
c’era un’insegnante di Educazione Artistica che mentre un ragazzo di origine
araba stava descrivendo le più incredibili torture da fare
all’insegnante di Italiano, lei mi è venuta vicino e mi ha detto
che doveva uscire: non resisteva. Però questa cosa i ragazzi la
scrivevano e la giocavano, in un certo senso, conoscendo questa possibilità
del mezzo, di mettere in scena questo orrore, è stato l’adulto,
l’insegnante che ha avuto terrore di questa possibilità di mettere
in scena l’orrore; i ragazzi avevano il diritto di metterlo in scena e
di mostrarlo, perché capivano abbastanza bene che l’immagine non
è la realtà. (O piuttosto sentivano che l’immagine gli permetteva
di esprimere una realtà indicibile). Poi la cosa paradossale è
stata questa, per farvi capire quanto il problema della violenza sia male
interpretato. Ho chiesto ai ragazzi di interpretare il ruolo dell’insegnante.
C’era una bambina molto timida che ha detto: «Posso provare io a
fare l’insegnante?» E io le ho detto “vieni, e facci vedere come
fa l’insegnante.” Lei si è alzata e ha incominciato a gridare: «É
ora di finirla, basta!!! state zitti!!!» battendo in maniera
violentissima il registro sulla cattedra. Era terribilmente violenta. Questa
è la loro immagine degli insegnanti. Quindi qual è il problema
della violenza? Visto dov’è la violenza? ...
La seconda riflessione che volevo fare è proprio sul fatto che
“la televisione è di chi la fa”. Come sempre succede solo se tu
“fai” qualche cosa la comprendi fino in fondo, ma noi viviamo in un sistema
dove si confonde informazione con educazione: si pensa che dare informazioni
attraverso la televisione sia fare educazione, ma è sbagliatissimo
perché dare informazioni non significa fare educazione. (E questo
collega il discorso della televisione che “non esiste” a quello che “la
televisione è di chi la fa”). L’educazione è una cosa molto
più complessa, è una cosa che coinvolge tutti quanti i sensi,
coinvolge la tridimensionalità dell’esistere, tutto quanto il campo
esperienziale, non solo nei bambini ma in tutti quanti noi. Solo se si
tiene conto di tutti gli elementi necessari a realizzare una “esperienza”
si può fare veramente educazione. Quando si mostrano delle immagini
non si fa educazione, e spesso nemmeno informazione, ma si danno favole,
storie fantastiche e immaginarie, anche nei tg. I tg sono il più
alto momento di fiction che c’è nella televisione, non è
vero che è realtà, non può essere la realtà.
Tanto è vero che il tg è costruito in modo da avere sempre
un lieto fine, finisce sempre con la cultura e le informazioni sullo spettacolo:
deve finire bene il tg, come le fiabe. A me viene da ridere quando si parla
del tg per i bambini, quando si parla di regole che garantiscano la “pulizia”
nel tg per i bambini, e anche quando si parla di regole e capacità
professionali dei giornalisti. Stamattina c’è stata una signora
del CENSIS che ha parlato di una ricerca che riportava il seguente dato:
il 75% dei giovani leggono le notizie o usano la notizie come fonte di
divertimento e non come fonte di informazione. Così, mi viene da
pensare, i giornalisti che hanno provocato il 75% di divertimento nei giovani,
nel tentativo di informarli sulla realtà, adesso vengono chiamati
a fare il tg anche per i bambini, quindi per farli divertire, per dare
questo tipo di indicazione definitiva anche ai ragazzini: in modo che si
rendano conto, fin da piccoli, che il telegiornale è una cosa veramente
divertente. Chissà se i giornalisti sene rendono conto? Io penso
veramente che tutta l’informazione può essere fatta onestamente,
ed i tg specialmente, soltanto se si parte dalla coscienza di questo concetto
di base: deve essere divertente; perché la tv è costruzione
di immaginario e non informazione sulla realtà. Non so se capite
la differenza tra costruzione dell’immaginario e informazione sulla realtà.
Tutta la televisione è costruzione dell’immaginario, non è
mai informazione sulla realtà, perché non si può raccontare
quello che accade ma solo l’immagine di quello che è accaduto, mi
sembra quasi banale, veramente.
Un’altra esperienza che ho fatto è stata la Minimal TV, con
il gruppo “Quinta Parete” di Empoli, dove ho capito veramente che la televisione
è di chi la fa. La Minimal Tv è una sciocchezza, veramente
una sciocchezza. Una delle caratteristiche di questa esperienza è
l’uso di bassa tecnologia, tecnologia povera, a disposizione di tutti:
perché appunto mettendo mano ai Vhs, ai videoregistratori e alle
cose che tutti quanti hanno in casa, si può iniziare a capire come
funziona questo “mostro televisione”, a capire che poi non è così
mostruoso ma è fatto da persone, è fatto da voi. Sono persone
che fanno la tv insomma: dov’è questo mostro? siamo tutti
qua... Mentre invece in generale la gente che guarda la televisione, e
questo è un po' colpa di chi fa la televisione, vive tutto il sistema
televisivo come qualcosa di mostruoso, di gigantesco, di inavvicinabile,
per cui o spegni la televisione o l’accetti per quello che è: altrimenti
che gli fai? Come puoi intervenire? Per arrivare qui ci vuole il pass.,
per esempio; un esempio stupido? (Non è un caso, ma forse esagero,
che qua nello stesso palazzo della RAI c’è un ufficio di polizia,
non so se vi rendete conto.)
Adesso mi viene in mente che è veramente dura fare qualcosa
per i bambini con la tv: ci sono di mezzo tantissime cose, c’è una
percezione del mondo e della comunicazione che va di per se contro quelle
che sono le esigenze cognitive dei bambini: loro vogliono crescere, vogliono
conoscere il mondo, vogliono conoscerlo attraverso tutti quanti i sensi,
vogliono fare, mentre invece ci troviamo in un “mondo adulto” dove l’educazione,
la comunicazione e così via si basa sull’annullamento dei sensi,
sulla separazione fra mente e corpo, dove c’è una mente poliziesca
che deve gestire e controllare un corpo che è considerato almeno
imbarazzante. Tutto il sistema della comunicazione si basa su questo dato
di fatto, sull’accettazione di questo dato di fatto. E se non si mette
in discussione questo “dato di fatto” ...
Allora dicevo: la Minimal Tv è fatta di bassa tecnologia, Vhs
e così via, collegata da un piccolo studio, con una scrivania, una
telecamera, un piccolo mixer, un piccolo computer, a dei televisori messi
in strada.
Abbiamo fatto questa esperienza in tre paesi, anche durante una sagra.
La cosa interessante è che dopo un po' la gente che vedeva le trasmissioni
in strada (con il palinsesto fatto da un solo conduttore, un inviato speciale
e da sciocchezze varie che però non erano semplicemente la parodia
della televisione ufficiale) ha cominciato a prendere in mano la tv senza
scimmiottare quelli che sono i generi televisivi.
Di solito quando un “videoamatore” prende una telecamera cerca di scimmiottare
la televisione, fa il verso alla pubblicità, fa il telegiornale,
fa l’avanspettacolo. Invece nel momento in cui si dà alla gente
un tipo di input diverso, vengono fuori delle modalità comunicative,
di messa in gioco della propria immagine e dell’immagine sociale del paese,
che paradossalmente quasi contraddicono quelle che sembrano essere
logiche assodate della comunicazione televisiva. Allora mi viene da pensare:
chi l’ha detto che la televisione che vediamo in giro deve essere fatta
così? Se basta dare un piccolo input, un piccolo scarto percettivo
e la gente (gli anziani, i bambini) inizia a “giocare e percepire” la televisione
sapendo che è un gioco da prendere seriamente? Cioè tornando
a rivalutare quella che è una sapienza dei bambini, che è
appunto quella di giocare molto seriamente?
Quindi se si volesse fare veramente qualche cosa per i bambini, la
prima cosa da fare è immaginare un’altra televisione, per poi cambiarla
mentre la si fa, essere disponibili a mettersi in gioco, immaginare delle
modalità produttive che siano completamente altre dalle modalità
produttive della televisione come è fatta adesso.
Non c’è altro da fare, bisognerebbe capire come, per esempio,
entrare in contatto con situazioni di base, non solo le scuole, ma anche
la piazza, la strada, dove mandare non delle troupe televisive, ma delle
persone con la telecamera, che sappiano parlare, che sappiano giocare con
i bambini e che sappiano ascoltare e riuscire anche ad autocriticarsi per
quello che stanno facendo. Bisognerebbe riuscire a immaginare qualcosa
del genere, che parta dalla strada, che torni nelle case e che abbia delle
modalità di produzione e di creazione delle immagini che non sono
quelle che purtroppo vediamo (per la fortuna di molti pochi adulti) adesso.
Ho detto quasi nulla.
Ciao